Ieri ho letto un post in cui un seller domandava cosa accadrebbe se tutti i venditori smettessero di sponsorizzare i prodotti su Amazon.
Alcuni utenti sono intervenuti dicendo che si tornerebbe finalmente a vendere organicamente come in passato.
Altri sono stati di opinione opposta.
Ma chi ha ragione?
E, soprattutto, siamo sicuri che se tutti i seller abbandonassero le ads, le vendite migliorerebbero realmente?
In realtà, credo che le cose siano molto diverse. E, come spesso mi capita, colgo questo bellissimo spunto per dire la mia con un po’ di dati a supporto.
INDICE
- La cruda realtà: vendere oggi è molto più difficile che in passato
- Come si comportano i compratori
- Cosa ne penso
La cruda realtà: vendere oggi è molto più difficile che in passato
Cominciamo con un primo dato: nel 2015 Amazon ospitava 2 milioni di seller. Secondo Marketplace Pluse oggi ci sono invece più di 9,7 milioni di venditori e ogni giorno si registrano oltre 2.000 nuovi seller.
Impressionante, vero?
Ma ecco un’altra statistica da tenere a mente: nel 2020 le inserzioni per parola chiave rilevante erano in media 10. Oggi si arriva invece anche a 30-40 inserzionisti per keyword competitiva su prodotti poco concorrenziali (fonte: Sellics), mentre sui prodotti che hanno un maggiore mercato, il dato va certamente più che raddoppiato.
Di dati da condividere con tutti i lettori ne avrei, naturalmente, tanti altri.
Tuttavia, già solo questi numeri dovrebbero far comprendere quanto diverso sia il mercato rispetto al passato e quanto sia notevolmente cresciuta l’offerta e la competizione presente.
Insomma, se prima il seller doveva competere con poche alternative, aggiudicandosi più facilmente le vendite, oggi le cose sono divenute molto più complesse.
Come si comportano i compratori
In tutto ciò non dobbiamo però perdere di vista anche l’altra parte dell’analisi: il comportamento degli utenti su Amazon.
Sappiamo infatti che 7 utenti su 10 cliccano solo sui primi 3 risultati di ricerca e, comunque, non vanno oltre la prima pagina.
Un comportamento che non è certamente isolato in Amazon (le stesse abitudini si rintracciano anche tra chi fa una ricerca su Google), ma che in questo caso si accompagna a un fatto molto interessante, che non può essere sottovalutato: il 78% degli utenti ritiene che i prodotti che si posizionano in alto siano anche “più affidabili” (fonte: JungleScout).
In altri termini, i prodotti organici che si trovano in fondo alla pagina – o, peggio ancora, nelle pagine successive – hanno visibilità minima, o nulla.
Non solo. È particolarmente interessante rilevare come gli acquirenti di Amazon siano sempre più a loro agio dinanzi agli annunci sponsorizzati: stando ai dati di Marketplace Pulse, infatti, più del 35% degli utenti Amazon clicca consapevolmente su un’inserzione pubblicitaria riconoscendola come tale.
Un dato che sfata il mito che gli utenti evitino la pubblicità, dimostrando invece che su Amazon le ads ben ottimizzate sono percepite come suggerimenti pertinenti.
Semmai, sono altri i dati che impattano sul comportamento di acquisto dei consumatori.
Su tutti, cito uno studio di Feedvisor secondo cui l’89% degli acquirenti è significativamente più propenso ad acquistare prodotti con recensioni a 4+ stelle rispetto a prodotti senza recensioni, indipendentemente dal prezzo.
Ma il vero elemento distintivo è la combinazione tra sponsorizzazioni e recensioni positive: i prodotti sponsorizzati con valutazioni superiori a 4,5 stelle registrano tassi di conversione quasi doppi rispetto alla media generale delle ads.
Inoltre, occorre considerare la soglia di credibilità: i prodotti che hanno meno di 10 recensioni vengono infatti percepiti come non testati da 2 utenti su 3, mentre quelli con oltre 50 recensioni positive guadagnano immediatamente un bagaglio di fiducia agli occhi dei compratori.
Insomma, i venditori che utilizzano le ads per prodotti ben recensiti ottengono un doppio vantaggio: maggiore visibilità e maggiore credibilità.
In sintesi, a meno di avere uno storico di vendite ben datato e consolidato, ed essere nelle prime posizioni, il seller non ha molti modi per mostrare i suoi prodotti (e, dunque, venderli).
Il problema è enorme, soprattutto per i nuovi seller. Come può emergere un venditore “nuovo” sulla piattaforma, utilizzando la sola strada del traffico organico?
Come può programmare un lancio di un prodotto se non tramite un abbassamento drastico del prezzo che, però, può condurre il seller verso criticità ancora più gravi come la vendita in perdita, la percezione di scarsa qualità del prodotto, la difficoltà ad avere un budget per restock?
In altri termini, come dovrebbe emergere un nuovo venditore rispetto a chi ha colto l’opportunità prima?
La risposta mi porta a una riflessione che voglio subito condividere con tutti i lettori: se non ci fosse la pubblicità, il venditore non avrebbe alcuna chance di emergere.
Pertanto, c’è davvero chi è convinto che sia meglio un mercato privo della possibilità di fare delle campagne di advertising, in cui la visibilità è limitata al solo posizionamento organico?

Come funziona l’algoritmo di Amazon.
Per fornire una risposta pienamente consapevole alle domande che ho voluto sollevare nelle scorse righe, bisogna introdurre un altro protagonista della nostra storia: l’algoritmo di Amazon, il cervello pensante che decide chi può posizionarsi in testa nei risultati di ricerca e chi invece è costretto ad arrancare nelle retrovie.
Anche se non tutti i criteri di posizionamento sono noti con precisione, è risaputo che l’algoritmo che regola la visibilità dei seller su Amazon premia innanzitutto la velocità di vendita. Quindi, chi più vende, e in minore tempo, meglio si posiziona.
Un sistema con un simile funzionamento non è certo privo di critiche: presta infatti il fianco ad un’alterazione dei risultati determinata o agevolata da sistemi che creano artificialmente le vendite (giveaway), con un fenomeno che potrebbe essere ulteriormente aggravato dall’assenza di canali alternativi di visibilità come quelli pubblicitari.
Naturalmente, non è questo l’unico elemento che può influenzare il posizionamento. L’algoritmo presta particolare attenzione anche al tasso di conversione, monitorando quanti utenti effettuano un acquisto dopo aver visualizzato la tua inserzione.
Un prodotto che converte al 15% – a parità di altre condizioni – avrà priorità rispetto a uno che converte al 5%, anche se magari quest’ultimo ha maggiori vendite complessive (e questo spiega per quale motivo alcuni prodotti con volumi di vendita inferiori possono posizionarsi meglio).
Tra gli altri criteri utilizzati dall’algoritmo cito anche la gestione dell’inventario, con Amazon che penalizza i prodotti frequentemente out of stock.
I dati di SellerSpeedway mostrano come i seller che conservano uno stock costante ottengono posizionamenti mediamente superiori del 32% rispetto a chi subisce frequenti interruzioni di disponibilità in magazzino.
Quanto poi al rapporto tra pubblicità e posizionamento organico, esiste una correlazione diretta che però viene spesso fraintesa.
Le ads, infatti, non influenzano direttamente il ranking organico, ma creano un ciclo virtuoso: portano maggiori vendite, migliorano le metriche di conversione e conducono a più recensioni, con miglioramento del posizionamento organico.
Insomma, le ads non solo non devono essere viste come strumenti distorsivi, ma devono invece essere valutate come canali per creare delle opportunità, un approccio che – se utilizzato con consapevolezza – può generare enormi vantaggi agli utilizzatori.
A dimostrazione di ciò, basti pensare che mediamente chi fa pay-per-click (PPC) su Amazon, in settori non ipercompetitivi, registra un Return On Advertising Spend (ROAS, l’indice che misura il rendimento dagli investimenti pubblicitari a fronte delle spese sostenute) tra il 3,5 e il 5,2.
I seller che le usano crescono in media del 25% a/a in più rispetto a chi non le usa (fonte: Ad Badger).
Tra l’altro – permettetemi di dirlo, con un pizzico di autocelebrazione! – i nostri risultati sulle PPC sono nettamente migliori rispetto alla media appena indicata, dimostrando da un lato che sappiamo lavorare e dall’altro che c’è margine per fare meglio rispetto alle stime di cui sopra.
Cosa ne penso
Cerchiamo dunque di trarre delle conclusioni. E, nel farlo, spezziamo una lancia in favore di chi afferma che “prima si vendeva meglio, senza pubblicità”.
Ebbene, ha ragione.
Ma ha ragione solo perché le sue affermazioni sono figlie di un altro scenario di mercato che, come abbiamo visto, era molto meno competitivo di quello odierno.
Oggi, invece, chi non sponsorizza è fuori dal mercato. E non per una scelta etica, ma per una spietata legge economica: più competizione richiede infatti maggiori investimenti per emergere (o investimenti più intelligenti e più ottimizzati, anche se questo è un altro discorso che affronterò in un separato approfondimento).
Ecco, pertanto, che la pubblicità online – e in particolare quella su Amazon – diviene uno dei pilastri fondamentali per garantire controllo, scalabilità e crescita sostenibile.
Chi vuole crescere, oggi, deve dunque comprendere che:
- Amazon non è più un marketplace. È un ecosistema pay-to-play!
- Le sponsorizzate sono un acceleratore di visibilità e vendite che ti permette di competere con chi è già da tempo sul mercato e si è costruito il suo spazio mentre si sviluppava in uno scenario ben diverso da quello di oggi.
Certo, se gestisci male le campagne pubblicitarie, diventano presto un costo infruttifero e spesso insostenibile.
Per evitare questo rischio, però, ci siamo noi: se vuoi, con il mio team posso verificare le tue ads e capire se stai adottando una strategia efficiente oppure se sia possibile ottimizzare le tue campagne e renderle decisamente più profittevoli.
Ti aspetto!