Il sottile confine tra utilizzo lecito e illecito del marchio altrui

Uso marchio altrui

La maggior parte degli imprenditori che opera soprattutto online è ben consapevole che la registrazione di un marchio consente al titolare di creare su di esso un vero e proprio monopolio, vietando a terzi di usarlo per distinguere prodotti o servizi identici e/o affini, quando ciò comporta un rischio di confusione per il consumatore.

Ci sono dei casi in cui è possibile utilizzare il brand altrui senza incorrere in violazione ed eventuali pretese risarcitorie. Infatti il cosiddetto uso lecito consente di adoperare il marchio di terzi lecitamente, senza rischiare di ricevere diffide o ammonimenti.

L’esatta individuazione della nozione “uso” di marchio, come vedremo, è significativa quando un terzo usa illecitamente il proprio segno distintivo.

Indice

L’uso del marchio altrui: quando è lecito?

Non ogni uso del marchio è consentito dalla legge; d’altronde, oltre al caso in cui un terzo utilizzi illecitamente, e dunque senza alcuna autorizzazione un marchio altrui, il codice della proprietà industriale, nell’art. 21 co 2, vieta allo stesso titolare determinate modalità di uso del marchio, non consentendogli di utilizzarlo quando esso:

  1. è contrario alla legge;
  2. genera un rischio di confusione sul mercato con altri prodotti o servizi;
  3. induce in inganno il consumatore in merito alla natura, alla qualità e alla provenienza dei prodotti/servizi.

Ad ogni modo, la stessa norma consente agli imprenditori, nell’ambito della propria attività economica e a determinate condizioni, un uso lecito del segno altrui quando si fa dei prodotti/servizi una funzione descrittiva e non distintiva, purché l’utilizzazione sia subordinata ai principi della correttezza professionale.

In poche parole, l’uso di un marchio registrato altrui non è vietato se ha un fine meramente descrittivo ed è pertanto lecito che un terzo utilizzi nella propria attività economica; ad esempio, il proprio nome e indirizzo, anche se questi possono ledere in qualche modo marchi registrati di altri, o addirittura riferirsi espressamente al marchio registrato di un altro soggetto per indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio, in modo da non falsare il mercato.

La regola della correttezza professionale impone inoltre di evitare agganciamenti parassitari che possano in qualche modo lasciare intendere ai consumatori un legame commerciale fra i due imprenditori.

Un classico esempio lo si può individuare in maniera ricorrente nel settore cinematografico e nell’industria musicale.

Ti è mai capitato di notare come nei film i dispositivi elettronici abbiano spesso e volentieri il brand coperto? Questo capita perché durante la produzione di un film o la registrazione di un videoclip musicale si deve fare molta attenzione a ciò che finisce nell’inquadratura, onde evitare di ledere i diritti d’autore o di marchi registrati.

Mentre per le opere coperte da copyright il regista (o chiunque se ne occupi) deve prendere una serie di accorgimenti durante la produzione di un film o di un video al fine di non incorrere in qualche illecito, non viene violato alcun diritto esclusivo del titolare di un marchio se in una scena di un film o in un videoclip musicale appare in secondo piano un marchio già registrato, o addirittura se in un dialogo o in un brano viene menzionato il  marchio  di una nota bibita (si pensi al testo dell’ultima hit musicale di Fedez, Orietta Berti e Achille Lauro “Mille”, nel quale il richiamo alla nota bevanda Coca-Cola rientra certamente nella libertà di espressione artistica e come tale, almeno per quanto riguarda il testo, non è lesivo dei diritti sul marchio).

In tutti questi casi non si può dire che esista un uso illegittimo di marchio, in quanto il suo utilizzo è meramente descrittivo dei prodotti/servizi e non distintivo degli stessi. 

Casi concreti

A proposito di festività natalizie…ti è sicuramente capitato in questi giorni di imbatterti nelle pubblicità dei panettoni al gusto “Nutella”, “Raffaello”, “Duplo”, “Galak” e via dicendo. 

Ecco, sono questi tutti validissimi esempi di utilizzo illecito del marchio altrui.

In questa circostanza il produttore del tipico dolce natalizio sta sfruttando la rinomanza di brand molto famosi per dare visibilità ai propri prodotti.

Ma c’è di più.

Il consumatore può essere tratto in inganno e ritenere che i panettoni siano prodotti dai brand ben più noti che sono accostati ai vari gusti del prodotto.

Oltre a potersi configurare una concorrenza sleale, quindi, ci sono anche gli estremi della pubblicità ingannevole, con buona pace di chi ha voluto ideare dei panettoni alternativi.

Un esempio che ho trattato in prima persona sul tema riguarda una consulenza ad una web agency che ci ha chiesto di verificare la conformità alle norme della sponsorizzazione che avevano in mente di realizzare per un loro cliente.

In particolare si trattava di realizzare un carosello di immagini con un confronto tra il prodotto del loro cliente (carne in scatola di alta qualità) e quelli di brand più noti, ma di produzione industriale.

La sponsorizzata raffigurava quindi una comparazione tra i vari prodotti, con indicazione delle migliorie di quello del proprio cliente a discapito dei concorrenti.

Si trattava, in buona sostanza, di pubblicità comparativa diretta che, seppur lecita se svolta all’interno di limiti ben precisi, comporta il rispetto di confini molto sottili; una volta oltrepassati, essi sconfinano nella concorrenza sleale e avrebbero esposto il loro cliente a richieste risarcitorie di diverse migliaia di Euro.

Infatti la pubblicità comparativa diretta deve essere veritiera ed oggettiva, e non può mai essere denigratoria o, in qualche misura, ledere l’immagine del marchio comparato.

Ma come è possibile effettuare delle comunicazioni pubblicitarie che possano far preferire il nostro prodotto rispetto agli altri, fornendo dati oggettivi e veritieri, che mettano in luce il nostro prodotto rispetto a quello degli altri senza lederne l’immagine?

Il confine è davvero sottile. Tanto più se si pensa che la non regolarità della pubblicità comparativa può essere riscontrata non solo nelle parole utilizzate o nelle immagini mostrate, ma anche e solo nelle modalità del raffronto che, da solo, può comportare l’illecito e il conseguente diritto della parte lesa di pretendere il risarcimento del danno.

Inutile dire che hanno dovuto rinunciare all’idea e trovare una soluzione differente ma, nonostante ciò, l’agenzia è stata ben contenta di farlo.

Questo perché ha evitato anzitutto di esporre il cliente a delle pretese risarcitorie (di cui avrebbero dovuto farsi carico), quindi di perdere un cliente e subire anche la pubblicità negativa che certamente avrebbero generato progettando questo tipo di advertising.

Nel caso volessi optare per la pubblicità comparativa, si hanno certamente più margini con quella indiretta, che si limita a parlare genericamente dei medesimi prodotti già presenti in commercio o di quelli creati prima di una certa data e così via, senza riferirsi esplicitamente ad un particolare brand.

Un noto caso mediatico sul tema è stato trattato di recente dalla Corte di Cassazione e ha visto protagonista l’azienda Fake-Lab, nota per la sua linea di abbigliamento, caratterizzata dalla rivisitazione di brand famosi.

In tale circostanza la Giurisprudenza ha giudicato come lecita l’attività dell’azienda che si riassume principalmente nella “rivisitazione in chiave parodistica di prodotti noti tale da creare una nuova rappresentazione grafica”.  

Si tratta per i giudici di un nuovo modo di fare moda e di esprimersi artisticamente.

Per di più, considerando il fatto che la normativa europea consente l’utilizzo di un marchio altrui per fini artistici, tra i quali è compreso anche il fine parodistico, l’attività della Fake-Lab è stata considerata come lecita e dunque non imitativa dei brand noti.

Ma attenzione, ciò non significa che sia possibile utilizzare un brand famoso semplicemente modificandone il logo o applicandovi il proprio accanto.

È necessaria la componente artistica, che diventa la chiave della legittimità dell’utilizzo.

In conclusione, nonostante il riferimento all’uso del marchio altrui a fini descrittivi e non distintivi sia considerato lecito, non lo è, invece, la riproduzione di loghi e altre deformazioni grafiche del segno, non giustificati dall’esigenza espressiva.

Risarcimento del danno da uso illecito: quando viene richiesto?

Il titolare di un marchio registrato o di un titolo di proprietà intellettuale ha a disposizione una serie di azioni legali per tutelare il proprio marchio da ipotesi di contraffazione e/o uso illecito.

In quest’ultimo caso, l’azienda o il professionista che si ritiene leso dall’uso illegittimo da parte di terzi del proprio marchio può adire l’Autorità giudiziaria competente chiedendo, oltre al risarcimento del danno subito dall’attività illecita, anche di inibire la continuazione del comportamento lesivo, provando al giudice che l’azione sleale del concorrente possa con ogni probabilità ripetersi nel tempo.

Per cominciare, al fine di tutelare un proprio diritto, il titolare di un marchio registrato può certamente diffidare il concorrente che ne fa un uso illegittimo, intimandolo a cessare immediatamente l’attività lesiva.

Solo nel caso in cui la diffida non sortisca effetti sperati, il titolare di un diritto di proprietà intellettuale potrà adire le Autorità giudiziali competenti, dinanzi alle quali sarà possibile non solo chiedere l’inibizione del comportamento lesivo del concorrente e il sequestro della merce contraffatta, ma addirittura un risarcimento dei danni subiti dal comportamento illecito, che sarà valutato e quantificato dal giudice stesso sulla base di una serie di parametri. 

Se vuoi sottoporci la tua idea per una pubblicità possiamo valutarla insieme ed indicarti come lavorare in modo conforme alla legge per evitare il rischio di sanzioni o richieste risarcitorie da parte dei tuoi competitor!

Avv. Miriam Scuccimarra
Dott. Alberto Caschili